TRAPIANTO
Nell'ospedale Hadassa a Gerusalemme ovest Jawad stava morendo davanti alla disperata impotenza di sua madre Abir cui le lacrime avevano solcato il viso fino a lasciarle due righe scure sulla faccia impietrita. Il suo volto era pallido ed esangue sotto i folti riccioli neri. La coscienza lo aveva abbandonato, ma non aveva l'aria di uno che dorma, piuttosto di un annegato che avesse sbattuto più volte la faccia contro gli scogli e in tal modo si fosse procurato i lividi che gli scurivano il sopracciglio e la tempia. Gli occhi li aveva chiusi, ma non del tutto, sotto le scure frange della ciglia brillava un morto luccichio. Sapeva molto bene Abir qual'era stata la natura del mare in tempesta che si era abbattuto sulla giovane vita di Jawad. Il ragazzo era stato colpito dai soldati israeliani che avevano fatto una delle loro solite incursioni. Stava uscendo dalla scuola assieme agli altri studenti quando i proiettili avevano cominciato a fischiare attorno a loro. Era fuggito, ma uno di quei soldati lo aveva bloccato e colpito con il fucile facendolo sanguinare. Jawad era rimasto confuso dalle botte e in quel momento un altro gli aveva sparato. Abir aveva ricevuto perfino le scuse dell'esercito per quell' "incidente". Le avevano fatto il favore di ricoverare suo figlio nell'ospedale israeliano dal momento che quello di Gerusalemme est non era attrezzato per l'operazione di cui aveva bisogno. L'operazione però era stata inutile. E' sempre più facile distruggere che sanare.
In un'altra stanza dell'ospedale un'altra madre contemplava il volto pallido di suo figlio abbandonato sul cuscino. Il suo cuore non era più in grado di fare il lavoro cui era destinato e a meno di non trovarne un altro in buone condizioni per operare un trapianto a breve sarebbe certamente morto.
Morì prima Jawad benchè il suo cuore lo avrebbe servito bene, senza quelle pallottole, per il resto della vita.
Il medico parlava ora a sua madre Abir in un'accogliente stanzetta appartata. Le stava dicendo, con ogni riguardo possibile, che sarebbe stato un gesto generoso da parte sua acconsentire a donare il cuore di suo figlio ormai sulla via del non ritorno, che quel gesto avrebbe permesso ad un'altra persona di continuare a vivere. C'era giusto un altro giovane che sarebbe morto certamente e la cui vita dipendeva dalla sua decisione. Abir pensò al giovane soldato che aveva colpito Jawad e poi all'altro che lo aveva ucciso. Per un momento i suoi occhi si strinsero e la mascella s'irrigidì. Avrebbe dovuto permettere di vivere a un tizio affinchè uccidesse altri ragazzi palestinesi di modo che altre madri ne avrebbero avuto l'anima straziata come lei? Tacque per un lungo istante e il suo viso era impenetrabile. Il medico aspettò. Una rabbia sorda montava nel cuore di Abir, tuttavia anche il dono la tentava. Nei giorni trascorsi al capezzale di Jawad assistendo alla sua dolorosa agonia, aveva incrociato gli occhi tristi e la faccia abbattuta dell'altra madre, le sue spalle curve sotto il peso della sua disgrazia. Pensò che se avesse rifiutato si sarebbe comportata come loro. Non voleva usare quel momentaneo potere per provocare altra morte. Accettò. Subito dopo il medico uscì rientrando poi nella stanza con la madre israeliana che voleva ringraziarla. Abir si strinse nel soprabito, si tirò più avanti l'ijiab e uscì di fretta senza rispondere.
Fu così che Abner si ritrovò un cuore nuovo di zecca grazie al quale la falce della morte si allontanò da lui. Benchè avesse il nome di un generale, il ragazzo era sempre stato quanto di più lontano si possa immaginare da ogni idea di militarismo e di battaglie. Non solo nel fisico era gracile e deboluccio, ma anche l'indole aveva pigra e pacifica. Tuttavia non si sognava nemmeno di contravvenire a ciò che gli altri consideravano e lui stesso considerava il proprio dovere di cittadino. Ora poi, che aveva quel cuore perfetto, non ce n'era proprio ragione. Abner aveva 17 anni compiuti e non mancava molto tempo quindi alla messa in pratica di quel dovere. Si prese parecchie soddisfazioni ora che aveva ritrovato la salute. Andò a ballare in un locale di Tel Aviv e si divertì per buona parte della notte, dichiarò il suo amore a una compagna di scuola che non rispose né si né no, ma rise in un modo civettuolo e incoraggiante, sfidò a una gara di velocità un antipatico che lo aveva sempre lasciato indietro senza curarsi del suo cuore malato che gli impediva ogni sforzo. Gli sembrava di essere nato da capo, perché solo ora poteva finalmente vivere. Un giorno mentre passeggiava nella città vecchia di Gerusalemme, vide arrivare procedendo a una certa velocità una jeep militare. La jeep si fermò a pochi passi da lui e ne scesero dei soldati armati di tutto punto, nulla di straordinario. Gli parve che costoro venissero verso di lui e a un tratto il suo cuore cominciò a battere come un forsennato. Abner non capiva cosa lo spaventasse tanto. Perché si rese conto di avere paura, una paura che penetrava fredda in ogni fibra, non riuscì a dominarsi, a rimanere fermo, prima che il soldato lo raggiungesse, e probabilmente sorpassasse, scattò e prese a correre come un disperato. Si rifugiò in un portone, si gettò a sedere su un gradino prendendosi la testa tra le mani. Era affannato e gli mancava il respiro. Ora non aveva più paura e non riusciva a spiegarsi il perché di quella reazione. Pensò di avere approfittato troppo della sua nuova forza. In fondo era ancora convalescente e sia a livello fisico che emozionale ancora fragile. Parlò di questo turbamento ai suoi genitori e poi al suo medico. Fu deciso che Abner si sarebbe preso un periodo di riposo in una città di mare dove avrebbe potuto trascorrere la sua convalescenza. Partì per Eilat abbastanza contento. Trascorse i giorni passeggiando e frequentando gli ottimi ristoranti della città, visitò la torre sottomarina dove dai finestroni un'incredibile varietà di pesci lo scrutavano curiosi nella meravigliosa efflorescenza del mar Rosso, rimase incantato ad osservare le enormi testuggini marine strigliate per bene con una spazzola da due giovani, si tuffò in mare di giorno e passeggiò di sera senza mai più provare lo sgomento e la paura che lo avevano assalito a Gerusalemme.
Era partito all'inizio della primavera, alla fine dell'estate tornò a casa contentissimo con la testa piena di ricordi piacevoli, di nuovi amici e nuove avventure, con una sensazione di leggerezza incredibile. Ci pensò sua madre a fargli toccare di nuovo terra pesantemente. Era arrivato l'avviso per i colloqui preliminari al servizio di leva. A questi colloqui si sentì a disagio tanto che sedeva sulla punta della sedia per essere pronto a scappare. La faccia dell'ufficiale gli parve ambigua e temibile, come se nascondesse una minaccia, un pericolo, un tranello. Quando finalmente uscì all'aperto gli sembrò di poter respirare di nuovo liberamente.
Abner cominciò il servizio di leva con il cuore traboccante di angoscia e di oscuri presagi, due tre volte fu sul punto di progettare una fuga, una ribellione all'ineluttabile, ma poi ci ragionò sopra e si disse che erano tutte sciocchezze, strane sciocchezze ereditate assieme al cuore nuovo. Non aveva motivo per non compiere ciò che riteneva il suo dovere di buon cittadino, ma di nuovo l'imprevedibile lo aspettava al varco.
Nella città vecchia, la parte araba di Gerusalemme, un collega stava strapazzando una donna. Era una anziana contadina che cercava di vendere un paio di sporte di pomodori. Il soldato aveva preso a calci le cassette facendo rotolare i pomodori sulla strada poi afferrata la donna per un braccio l'aveva cacciata via con disprezzo. In quel momento un'altra donna più giovane, si era precipitata indignata sul soldato coprendolo di insulti. Abner era abbastanza vicino per vederla in volto, vide i grandi occhi neri pieni di luce cui la rabbia dava ancora più splendore, vide il volto pallido di una bellezza struggente. Il suo cuore si gonfiò di strani sentimenti che andavano dalla tenerezza alla nostalgia, alla devozione. Il soldato stava per colpirla quando Abner con uno scatto fulmineo afferrò il suo braccio per fermarlo. Litigò stancamente con costui e intanto la donna si era allontanata. Sconvolto Abner fece a piedi quasi correndo tutta Gerusalemme est, ma la donna era sparita. Il turbamento montava nella mente del giovane soldato. Quella donna…aveva un bel viso, ma quando mai si era messo a scrutare il viso delle donne palestinesi sotto l'ijiab? Per lui come per la maggior parte degli israeliani erano tutte uguali. E c'era un'altra cosa strana, quella bellissima donna non era certo una sua coetanea, forse avrebbe potuto essere sua madre. A questo pensiero il cuore gli si strinse con infinita pena e capì che aveva un desiderio intenso e struggente di abbracciarla. Con gli occhi colmi di lacrime scrutò la strada in tutte le direzioni pregando di rivederla.
A causa del suo strano comportamento l'esercito elargì ad Abner una licenza di alcuni giorni per malattia. Ora si trovava di nuovo a casa e ne provava un moderato sollievo. Quella notte faticò a prendere sonno e si rigirò svariate volte tra le lenzuola sbuffando. Quel cuore nuovo se da una parte gli permetteva cose impensabili prima, dall'altra cominciava a sentirlo come un corpo estraneo. Era un enigma, un mistero, qualcosa di sconosciuto in lui. Gli doveva un'intensità di emozioni che non avrebbe creduto potessero esistere, ma non tutte erano piacevoli. Che voleva quel cuore tanto spesso in disaccordo con la propria mente? Cominciava a fargli paura.
Si era appena addormentato quando un rumore di passi che si avvicinavano lo svegliò di colpo. In casa c'erano solo lui e sua madre, suo padre era via per faccende sue. Quello però non era il passo svelto e leggero di sua madre. Si tirò su nel letto, si mise in ascolto. I passi pesanti, lenti, cadenzati si avvicinavano. Abner fissava il buco nero della porta. Poi silenzio. C'era una figura immobile sulla soglia. Nella stanza era buio, ma dalla finestra chiusa filtrava un piccolo raggio di luce proveniente dalla luna piena che fuori illuminava a giorno con la sua lattescenza. Quando gli occhi gli si furono abituati alla scarsa luce della stanza Abner vide che il volto di colui che si era fermato nel vano della porta era livido e pesto. Fissandolo con tutte le forze si avvide che gli occhi erano spenti e dalle palpebre aperte a metà si vedeva solo il lucore dell'occhio che si stagliava nel buio. Non pensò neppure per un momento di cercare un corpo contundente con cui potersi difendere, era lampante che la creatura penetrata nella sua stanza non era viva. Si drizzò meglio a sedere nel letto e con la voce tremante domandò:
-Chi sei, che cosa vuoi?-
Alla sua domanda l'altro avanzò di qualche passo nella stanza, era ormai quasi accanto al suo letto e Abner adesso ci vedeva benissimo perciò scorse molto chiaramente il petto dello sventurato squarciato da un buco molto preciso e dentro quel buco, là dove doveva esserci il cuore, non c'era nulla.
-Sono venuto a riprendermi il cuore-
Rispose una voce che sembrava venire dalle profondità di una caverna, Abner sudava freddo. Aveva paura, ma anche un'immensa compassione. Il morto riprese a parlare:
- Non vi è bastato uccidermi, dovevate anche strapparmi il cuore?-
La sua voce adesso, pur sembrando sempre venire da posti cavernosi e profondi, era più chiara, più somigliante a quella che doveva aver avuto da vivo, una voce di ragazzo. Abner notò che non sembrava provenire dalla figura pesta e livida che vedeva.
-Non posso dartelo, vivo per mezzo di questo cuore, dartelo significa morire per me-
-Perché dovrebbe importarmi?-
-Ma a te non serve! Non è importante per te, dove sei adesso, avere o non avere il cuore!-
- Lo dici tu che non è importante. Io sono stato violato nella vita e nella morte. Il cuore che anela l'abbraccio di mia madre tu lo hai portato nel carro armato, il cuore che aspira ad annusare i profumi della salvia e del rosmarino alla finestra della mia casa tu lo hai portato al ceck-point, il mio cuore che amava la poesia e le canzoni della Palestina tu lo hai piegato alla vostra retorica…-
Mentre l'infelice ragazzo parlava Abner aveva sempre meno paura e sempre più pena. Era chiaro che egli non aveva il potere di riprendere ciò che era suo, quello che era stato era stato. Ma come lo sentiva ingiusto, crudele!
Quello che restava di Jawad era davanti agli occhi pieni di lacrime di Abner che forse per l'appannamento della vista dovuta al pianto ebbe l'impressione di vederlo come era stato da vivo. Ma poi, dopo un battito di ciglia allo splendido ragazzo si sostituì di nuovo il livido cadavere col petto squarciato. Ora stava voltandosi per uscire, per tornare ai vermi e alla terra, Abner lo richiamò indietro con un grido.
-Aspetta! Non posso ridarti la vita che ti è stata tolta, nemmeno rendendoti il cuore, ma posso prometterti che non vedrà mai più né armi, nè violenza, che tornerà a casa per abbracciare tua madre, che aspirerà solo i profumi di questa terra e mai mai l'odore dello zolfo e del fuoco!-
Abner si accorse che c'era la luce accesa, sua madre gli stava asciugando la faccia bagnata di lacrime e non riusciva a smettere di singhiozzare. La pena però si stemperava in una specie di sollievo, si sentiva il cuore liberato. Il giorno dopo in caserma arrivò una dichiarazione in cui Abner affermava di non poter più servire l'esercito per problemi di coscienza e anche …di cuore.
venerdì 5 ottobre 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento