La notizia della morte di Juliano mi ha colpito come un cazzotto allo stomaco.
Non volevo crederci e speravo in un errore, speravo di aver capito male, ma non
era così purtroppo. Un enorme sentimento di tristezza e di rabbia mi ha invaso.
Non ho mai incontrato Juliano fisicamente, ma per me è come se fosse stato
assassinato un mio parente, un fratello.
La prima volta che ho sentito parlare di lui è stato un lontano pomeriggio del
2002 durante una riunione di ECO da Alì Rashid che ci aveva raccontato di sua
madre Arna e della sua coraggiosa battaglia per i bambini del campo profughi di
Jenin. Poi era arrivato in internet un testo con due suoi articoli. Parlava
dell'esperienza del primo gruppo teatrale che lui aveva messo in piedi con i
bambini di Jenin, i bambini di Arna, un secondo articolo commemorava la triste
fine di questi ragazzi nel corso della seconda Intifada dove avevano
eroicamente resistito e combattuto ed erano morti. Entrambi gli articoli erano
bellissimi e commoventi, volevo che tutti o per lo meno tanti sapessero di
questa storia piena di tristezza, di speranza di resistenza e così avevo
proposto a una delle mie associazioni "Stelle Cadenti-Artisti per la pace di
pubblicare i due articoli in un libro con i disegni di Naji Al Ali. Il libro
aveva come titolo una frase di uno degli articoli "A Jenin sognano ancora un
teatro".
Juliano era un simbolo, una bandiera, un esempio di come si possa costruire un
percorso di solidarietà, di pace attraverso rapporti umani profondi, attraverso
l'arte. Era una persona bella di dentro e di fuori, la sua semplice immagine,
anche vista solo in filmati come l'indimenticabile "Arna'children" o in foto
comunicava tutta la ricchezza e la bellezza di una vita spesa per l'amore, la
giustizia, la solidarietà. Sono confusa, triste e arrabbiata e mi riesce
difficile sull'onda dell'emozione esprimere tutto quello che vorrei. Certamente
gli ignobili assassini hanno capito quanta forza c'è nell'arte, nella cultura,
nei rapporti diretti e profondi. Ma non s'illudano queste carogne di cancellare
o vanificare la sua opera. Juliano resterà sempre nei nostri cuori, ma altri
continueranno ciò che lui ha cominciato e questo atto criminale può solo
rafforzare in tutti noi l'impegno a lottare per la pace, la giustizia,
l'umanità.
martedì 5 aprile 2011
venerdì 1 aprile 2011
UN PO’ DI MENZOGNE SULLA GUERRA DI LIBIA Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità. Le operazioni militari in Libia e la risoluzione 197
UN PO’ DI MENZOGNE SULLA GUERRA DI LIBIA
Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità. Le operazioni militari in Libia e la risoluzione 1973 che ad esse fornisce base giuridica non fanno eccezione a questa regola.
DI THIERRY MEYSSAN *
Roma, 31 marzo 2011, Nena News – Per fornire un’immagine a fosche tinte, la stampa atlantista ha fatto credere che le centinaia di migliaia di persone in fuga dalla Libia stiano tentando di sfuggire a una strage. Le agenzie di stampa hanno evocato migliaia di morti e parlato di “crimini contro l’umanità”. La Risoluzione 1973 ha messo in guardia il Tribunale penale internazionale contro possibili “attacchi sistematici o generalizzati diretti contro i civili”.
In realtà, il conflitto libico può essere letto sia in termini politici che in termini tribali. I lavoratori immigrati sono stati le prime vittime. Essi sono stati brutalmente costretti ad andarsene. Gli scontri tra lealisti e ribelli sono stati realmente sanguinosi, ma non nelle proporzioni propagandate. Non vi è mai stata alcuna repressione sistematica contro i civili.
Sostenere la “primavera araba”
Durante il suo discorso al Consiglio di Sicurezza, il ministro francese degli affari esteri Alain Juppé ha tessuto le lodi della “primavera araba” in generale e della rivolta libica in particolare.
Questo discorso lirico cela in realtà intenzioni nefande: Juppé non ha detto neanche una parola sulla sanguinosa repressione in Yemen e in Bahrain, e ha perfino elogiato il re Mohammed VI del Marocco come fosse uno di quei rivoluzionari. Così facendo, ha contribuito a rafforzare l’immagine disastrosa della Francia che si è impressa nell’immaginario del mondo arabo durante la presidenza Sarkozy.
Sostenere l’Unione Africana e la Lega Araba
Fin dall’inizio delle operazioni, Francia, Regno Unito e Stati Uniti non hanno mai smesso di affermare che questa non è una guerra occidentale (anche se il Ministro degli Interni francese, Claude Guéant, ha parlato di una “crociata” di Nicolas Sarkozy). A sostegno di ciò, adducono il sostegno di cui la coalizione godrebbe da parte dell’Unione Africana e della Lega Araba. In realtà, l’Unione Africana ha sì condannato la repressione e ha affermato la legittimità delle rivendicazioni democratiche, ma si è sempre opposta ad un intervento militare straniero. Per quanto riguarda la Lega Araba, essa riunisce essenzialmente regimi che sono minacciati da rivoluzioni analoghe. Essi hanno sostenuto la contro-rivoluzione occidentale – alcuni vi hanno anche preso parte in Bahrain -, ma non possono appoggiare apertamente una guerra occidentale senza accelerare quei movimenti di contestazione interna che minacciano di rovesciarli.
Riconoscimento del Consiglio Nazionale di Transizione Libico
In Libia vi sono tre zone di insorgenza. Un Consiglio Nazionale di Transizione Libico è stato costituito a Bengasi. Esso si è fuso con un preesistente governo provvisorio istituito dall’ex Ministro della Giustizia di Gheddafi, passato dalla parte degli insorti. E’ proprio lui il personaggio che, secondo le autorità bulgare, avrebbe organizzato la tortura delle infermiere bulgare e del medico palestinese detenuti a lungo dal regime.
Riconoscendo questo CNTL e sdoganando il suo nuovo presidente, la coalizione si è scelta degli interlocutori e li ha poi imposti come leader agli insorti. Ciò ha permesso loro di estromettere i rivoluzionari nasseriani, comunisti o khomeinisti.
Si trattava di prendere l’iniziativa e di evitare quello che è successo in Tunisia ed Egitto, quando gli occidentali hanno imposto un governo senza Ben Ali, o un governo Suleiman senza Mubarak, che poi i rivoluzionari hanno nuovamente rovesciato.
Embargo sulle armi
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere le popolazioni civili, l’embargo avrebbe dovuto essere istituito contro i mercenari e le armi destinati al regime di Gheddafi. Invece, l’embargo è stato esteso agli insorti in modo da impedire una loro possibile vittoria. L’obiettivo era in realtà quello di fermare la rivoluzione.
No Fly Zone
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere i civili, la no-fly-zone avrebbe dovuto essere limitata al territorio degli insorti (come è stato fatto con il Kurdistan in Iraq). Invece è stato proibito il sorvolo in tutto il paese. In questo modo, la Coalizione spera di congelare l’equilibrio delle forze sul terreno e di dividere il paese in quattro (le tre aree ribelli e l’area lealista). Questa partizione de facto della Libia deve essere considerata in prospettiva, insieme a quelle del Sudan e della Costa d’Avorio, come una delle prime tappe di un “rimodellamento dell’Africa”.
Congelamento dei beni
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere le popolazioni civili, solo i beni personali della famiglia Gheddafi e dei dignitari del regime avrebbero dovuto essere bloccati per impedire loro di aggirare l’embargo sulle armi. Invece il blocco è stato esteso al patrimonio di tutto lo Stato libico. Ora la Libia, nazione ricca di petrolio, dispone di un tesoro considerevole che ha in parte depositato nel Banco del Sud, un istituto per il finanziamento di progetti di sviluppo nel Terzo Mondo.
Come ha fatto notare il presidente venezuelano Hugo Chavez, questo blocco non mira a proteggere i civili. Esso mira a ripristinare il monopolio della Banca Mondiale e del FMI.
Coalizione dei volonterosi
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere i civili, la risoluzione 1973 avrebbe dovuto essere attuata dalle Nazioni Unite. Invece, le operazioni militari sono state coordinate dalla US Africom e dovrebbero ora passare nelle mani della NATO. E’ per questo motivo che il ministro turco degli Affari Esteri, Ahmet Davutoglu, si è detto indignato per l’iniziativa francese e ha richiesto spiegazioni alla NATO.
In modo più brusco, il Primo Ministro russo Vladimir Putin ha affermato che la risoluzione è “imperfetta e inadeguata. Leggendola, risulta chiaro che essa permette a chiunque di agire contro uno Stato sovrano. Nel complesso, mi ricorda una chiamata medievale alla crociata”, ha concluso.
*Analista politico francese, fondatore e presidente del Rete Voltaire e dell’asse della conferenza Axis for Peace.
Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità. Le operazioni militari in Libia e la risoluzione 1973 che ad esse fornisce base giuridica non fanno eccezione a questa regola.
DI THIERRY MEYSSAN *
Roma, 31 marzo 2011, Nena News – Per fornire un’immagine a fosche tinte, la stampa atlantista ha fatto credere che le centinaia di migliaia di persone in fuga dalla Libia stiano tentando di sfuggire a una strage. Le agenzie di stampa hanno evocato migliaia di morti e parlato di “crimini contro l’umanità”. La Risoluzione 1973 ha messo in guardia il Tribunale penale internazionale contro possibili “attacchi sistematici o generalizzati diretti contro i civili”.
In realtà, il conflitto libico può essere letto sia in termini politici che in termini tribali. I lavoratori immigrati sono stati le prime vittime. Essi sono stati brutalmente costretti ad andarsene. Gli scontri tra lealisti e ribelli sono stati realmente sanguinosi, ma non nelle proporzioni propagandate. Non vi è mai stata alcuna repressione sistematica contro i civili.
Sostenere la “primavera araba”
Durante il suo discorso al Consiglio di Sicurezza, il ministro francese degli affari esteri Alain Juppé ha tessuto le lodi della “primavera araba” in generale e della rivolta libica in particolare.
Questo discorso lirico cela in realtà intenzioni nefande: Juppé non ha detto neanche una parola sulla sanguinosa repressione in Yemen e in Bahrain, e ha perfino elogiato il re Mohammed VI del Marocco come fosse uno di quei rivoluzionari. Così facendo, ha contribuito a rafforzare l’immagine disastrosa della Francia che si è impressa nell’immaginario del mondo arabo durante la presidenza Sarkozy.
Sostenere l’Unione Africana e la Lega Araba
Fin dall’inizio delle operazioni, Francia, Regno Unito e Stati Uniti non hanno mai smesso di affermare che questa non è una guerra occidentale (anche se il Ministro degli Interni francese, Claude Guéant, ha parlato di una “crociata” di Nicolas Sarkozy). A sostegno di ciò, adducono il sostegno di cui la coalizione godrebbe da parte dell’Unione Africana e della Lega Araba. In realtà, l’Unione Africana ha sì condannato la repressione e ha affermato la legittimità delle rivendicazioni democratiche, ma si è sempre opposta ad un intervento militare straniero. Per quanto riguarda la Lega Araba, essa riunisce essenzialmente regimi che sono minacciati da rivoluzioni analoghe. Essi hanno sostenuto la contro-rivoluzione occidentale – alcuni vi hanno anche preso parte in Bahrain -, ma non possono appoggiare apertamente una guerra occidentale senza accelerare quei movimenti di contestazione interna che minacciano di rovesciarli.
Riconoscimento del Consiglio Nazionale di Transizione Libico
In Libia vi sono tre zone di insorgenza. Un Consiglio Nazionale di Transizione Libico è stato costituito a Bengasi. Esso si è fuso con un preesistente governo provvisorio istituito dall’ex Ministro della Giustizia di Gheddafi, passato dalla parte degli insorti. E’ proprio lui il personaggio che, secondo le autorità bulgare, avrebbe organizzato la tortura delle infermiere bulgare e del medico palestinese detenuti a lungo dal regime.
Riconoscendo questo CNTL e sdoganando il suo nuovo presidente, la coalizione si è scelta degli interlocutori e li ha poi imposti come leader agli insorti. Ciò ha permesso loro di estromettere i rivoluzionari nasseriani, comunisti o khomeinisti.
Si trattava di prendere l’iniziativa e di evitare quello che è successo in Tunisia ed Egitto, quando gli occidentali hanno imposto un governo senza Ben Ali, o un governo Suleiman senza Mubarak, che poi i rivoluzionari hanno nuovamente rovesciato.
Embargo sulle armi
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere le popolazioni civili, l’embargo avrebbe dovuto essere istituito contro i mercenari e le armi destinati al regime di Gheddafi. Invece, l’embargo è stato esteso agli insorti in modo da impedire una loro possibile vittoria. L’obiettivo era in realtà quello di fermare la rivoluzione.
No Fly Zone
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere i civili, la no-fly-zone avrebbe dovuto essere limitata al territorio degli insorti (come è stato fatto con il Kurdistan in Iraq). Invece è stato proibito il sorvolo in tutto il paese. In questo modo, la Coalizione spera di congelare l’equilibrio delle forze sul terreno e di dividere il paese in quattro (le tre aree ribelli e l’area lealista). Questa partizione de facto della Libia deve essere considerata in prospettiva, insieme a quelle del Sudan e della Costa d’Avorio, come una delle prime tappe di un “rimodellamento dell’Africa”.
Congelamento dei beni
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere le popolazioni civili, solo i beni personali della famiglia Gheddafi e dei dignitari del regime avrebbero dovuto essere bloccati per impedire loro di aggirare l’embargo sulle armi. Invece il blocco è stato esteso al patrimonio di tutto lo Stato libico. Ora la Libia, nazione ricca di petrolio, dispone di un tesoro considerevole che ha in parte depositato nel Banco del Sud, un istituto per il finanziamento di progetti di sviluppo nel Terzo Mondo.
Come ha fatto notare il presidente venezuelano Hugo Chavez, questo blocco non mira a proteggere i civili. Esso mira a ripristinare il monopolio della Banca Mondiale e del FMI.
Coalizione dei volonterosi
Se l’obiettivo fosse stato quello di proteggere i civili, la risoluzione 1973 avrebbe dovuto essere attuata dalle Nazioni Unite. Invece, le operazioni militari sono state coordinate dalla US Africom e dovrebbero ora passare nelle mani della NATO. E’ per questo motivo che il ministro turco degli Affari Esteri, Ahmet Davutoglu, si è detto indignato per l’iniziativa francese e ha richiesto spiegazioni alla NATO.
In modo più brusco, il Primo Ministro russo Vladimir Putin ha affermato che la risoluzione è “imperfetta e inadeguata. Leggendola, risulta chiaro che essa permette a chiunque di agire contro uno Stato sovrano. Nel complesso, mi ricorda una chiamata medievale alla crociata”, ha concluso.
*Analista politico francese, fondatore e presidente del Rete Voltaire e dell’asse della conferenza Axis for Peace.
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