martedì 24 luglio 2007

LA PALESTINA RACCONTATA AI BAMBINI

IL CANTO


Caro Shadi, tu non mi conosci. Ti ho visto in un filmato sulla Palestina, correvi come il vento su un pattino solo per le strette vie del campo, poi, ti sei fermato in mezzo a un nugolo di altri bambini e hai fatto il segno della vittoria con la manina. E' da allora che voglio raccontarti questa storia. Il protagonista è un bambino piccolo come te e anche lui si chiama Shadi. La nostra storia comincia in un tempo quando non c'erano ancora i campi dei rifugiati dove ora tu vivi, c'erano ancora le colline piene di alberi di ulivo e la primavera spargeva intorno meravigliosi profumi. Su una di queste colline sorgeva la casa di Shadi, circondata da alberi da frutta e da ulivi. In primavera crescevano anche tanti fiori e d'estate i campi si riempivano di rossi papaveri. Il nostro eroe giocava tutto il giorno per quegli spazi aperti, perché era ancora troppo piccolo per andare a scuola come i suoi fratelli che invece dovevano studiare e fare i compiti prima di uscire a giocare. La sua famiglia aveva degli animali, ma il più stretto compagno di giochi del bambino era un piccione, anzi, che dico, piccione, era una splendida colomba bianca. Shadi aveva tentato di darle un nome per poterla chiamare, ma qualsiasi nome pensasse non gli sembrava adatto a lei così rinunciò, perché poi alla fine non si può dare un nome a un essere libero e alato che può volare e andarsene a suo piacimento oltre ogni confine e ogni delimitazione di proprietà. Inoltre non aveva nessun bisogno di chiamare la colomba perché essa non lo lasciava mai e dov'era lui volava lei. Shadi parlava con la colomba come se fosse una persona ed era sicuro che lei lo capisse. Quando litigava con Nabil che era il più grande e per questo pretendeva di aver ragione, o quando la mamma insisteva per fargli mangiare l'hummus che non gli piaceva, o quando il babbo lo sgridava perché non si era rifatto il letto e aveva lasciato in giro i gessetti colorati con cui gli piaceva disegnare, Shadi se ne lamentava con la colomba e le raccontava quanti soprusi doveva subire solo perché era il più piccolo della famiglia. Suo fratello Murad lo prendeva in giro per questo:
-Sei proprio stupido, come puoi pensare che la colomba capisca quello che dici? E' soltanto un animale!-
Shadi se ne andava tutto imbronciato senza rispondere. Dentro di sè pensava che era Murad ad essere stupido e stupidi erano quasi tutti perché non riuscivano a vedere quello che vedeva lui così chiaramente: che quella colomba capiva benissimo tutte le sue parole e forse perfino i suoi pensieri.
Un giorno sulla collina vennero dei soldati. Erano armati e minacciosi, che cosa volevano? La colomba si era messa a volare con giri concentrici e sembrava impazzita. I soldati avevano picchiato il papà di Shadi e trascinato fuori di casa la mamma e gli altri fratelli. Il bambino ebbe tanta paura quando uno di loro lo afferrò per il braccio e quasi lo gettò addosso alla mamma gridando qualcosa in una lingua che nessuno di loro capiva. Poi puntarono le loro armi addosso a tutta la famiglia. La colomba aveva continuato per tutto il tempo i suoi giri isterici sopra le teste dei soldati tanto che uno di loro cercò di colpirla col calcio del fucile, ma per fortuna non ci riuscì.
Cacciati di casa, senza poter portare con sé nessuna delle cose che erano loro care e preziose o anche soltanto utili, tristemente discesero la collina e andarono ad accamparsi a valle piantando una tenda che faticosamente erano riusciti a mettere in piedi. La loro vita cambiò completamente. Avevano alberi da frutta e ulivi e ora non era rimasto loro nulla, anche gli animali erano restati lassù, assieme alla casa. Solo la colomba di Shadi li aveva seguiti e dopo i voli disperati sulla collina ora non si muoveva più dalla sua spalla come a volerlo confortare e fargli sentire che non era solo in quella sciagura. Ora il babbo non lo sgridava più per il disordine e del resto i gessetti erano andati perduti. Nemmeno Nabil litigava più con lui e la mamma non aveva hummus da proporgli. Tutti erano rimasti attoniti dopo quella prepotenza e non sapevano da che parte cominciare per ritornare a vivere. Ma poi piano piano il babbo zappò un orticello e la mamma cucinò le verdure, Murad e Nabil si svegliarono prima dell'alba per potersi mettere in cammino fino alla scuola che ora era più lontana perché in quella solita c'erano andati i soldati e anche Shadi si adattò a giocare come poteva e a disegnare con un legnetto sulla terra invece che con i pastelli. Ma si erano appena adattati a quella nuova e più difficile vita quando un giorno una palla di cannone colpì in pieno la tenda. Per fortuna dentro non c'era nessuno, ma tutte le loro cose, tutto ciò che avevano faticosamente ricostruito era andato distrutto e bruciato. Shadi sentì il terribile fragore e tornò di corsa a casa, cioè alla tenda. La mamma piangeva seduta su un masso bruciacchiato davanti alla tenda, l'ijiab le si era slacciato e i capi cascavano inerti sulle sue spalle tra i capelli sciolti. Quando il babbo tornò e vide quello sfacelo non ebbe la forza nemmeno di arrabbiarsi perché le braccia gli cascarono inerti lungo i fianchi e i suoi occhi si riempirono di sconforto. Aspettarono che Murad e Nabil tornassero dalla scuola, poi decisero di mettersi in viaggio. Volevano andare fino alla collina più vicina dove vivevano le altre persone della loro hamula, che era molto grande. Lì speravano di trovare aiuto e ospitalità. Ma quando arrivarono, stanchi e impolverati, trovarono i loro parenti ai piedi della collina piangenti e sconvolti. Anche lì erano andati i soldati ed anche lì si erano impossessati di tutto quello che avevano cacciandoli via. Tutti si erano abbracciati confortandosi a vicenda e raccontandosi i tristi particolari di quell 'abuso, poi avevano asciugato le lacrime e insieme si erano messi in cammino per andare alla prossima collina sperando che fosse stata risparmiata. Ma anche lì trovarono le stesse scene di sconforto e disperazione. Dovunque andassero trovavano la stessa situazione e di collina in collina il gruppo diventava sempre più grande. Camminavano stanchi, in fila, portandosi in braccio le poche cose che erano riusciti a salvare e non sapevano quando avrebbero potuto smettere di camminare e potersi riposare. Ormai erano lontanissimi dalla loro hamula e non conoscevano più le persone che incontravano. Nel loro cammino s'imbatterono in villaggi che erano stati abbandonati, in altri che erano stati distrutti ed in altri ancora dove le persone andavano loro incontro con le braccia alzate gridando e piangendo e i bambini si nascondevano dietro le gonne delle mamme con gli occhi pieni di spavento. Tutte quelle persone si unirono a loro e ripresero il cammino. Andavano via dalla guerra e dai soldati che sparavano ovunque, ma non sapevano dove andare. La colomba di Shadi percorreva volando l'immensa fila di profughi da un capo all'altro senza riposo.
Un giorno arrivarono in una grande città. Gli abitanti di questa città erano rimasti nelle loro case e non avevano voluto andarsene nemmeno quando i soldati erano arrivati e avevano cominciato a sparare. Le loro case erano piene di buchi e molti erano morti, ma quando videro arrivare i profughi a cui non era rimasto nulla li accolsero meglio che potettero e li aiutarono a piantare delle tende vicino alla città, perché potessero fermarsi finalmente e ricominciare la loro vita. Shadi ora non giocava più da solo correndo a perdifiato per grandi spazi, ma assieme a un nugolo di bambini, e mentre prima si divertiva a gridare contro il vento e a correre incontro al sole, ora non aveva più lo spazio per correre, ma anche lo avesse avuto, bisognava stare attenti e non correre troppo o i soldati avrebbero potuto pensare che volevano correre a tirare loro delle pietre, né gridare, perché nell'un caso e nell'altro i soldati avrebbero potuto sparare e uccidere i bambini. Shadi era molto triste e non sapeva come avrebbe potuto sopportare quella vita se non ci fosse stata la sua colomba. In quei campi profughi, le cui tende erano col tempo state sostituite da case in muratura, non c'erano i servizi, tutto era stretto sporco e squallido e soprattutto c'era un enorme affollamento dato che le famiglie cacciate dalle loro case erano state tante. Ma se da fuori il campo era brutto e anche le case erano brutte e approssimative, dentro, erano tenute pulite e accoglienti, benchè povere. Come la mamma di Shadi, ogni mamma faceva di tutto perché la sua famiglia e i bambini vi potessero vivere il meglio possibile. Non potevano fare niente per migliorare le cose all'esterno, ma all'interno facevano in modo che vi fosse sempre qualcosa di bello e di grazioso, un tappeto colorato, dei poster che piacevano ai bambini, un giocattolo aggiustato con perizia.
Passò molto tempo in quella condizione dura e difficile, poi un giorno vennero dei muratori scortati dai soldati e cominciarono a costruire un muro. Gli abitanti del campo e anche quelli della città guardavano preoccupati questo muro crescere giorno per giorno finchè fu terminato e tanto la città quanto il campo dei rifugiati si trovarono circondati dalle sue pareti altissime e invalicabili. Nessuno poteva uscire più dal campo o dalla città senza il permesso dei soldati, che però potevano entrare e arrestare le persone che cercavano di uscire per andare al lavoro o solo per non sentirsi prigionieri. Poco a poco scese su quelle persone una tristezza sempre più pesante. Il papà di Shadi non potè più uscire per andare al suo lavoro e tutti diventarono ancora più poveri e più infelici. Così isolati da tutto il resto del mondo gli abitanti si convinsero che nessuno più si ricordasse di loro e loro stessi dimenticarono come era una vita normale e libera.
Una sera più buia del solito, senza neppure la luna, la colomba di Shadi spiccò il volo e se ne andò oltre il muro. Il povero bambino scosso da quell'abbandono cominciò a correre dietro al volatile che non andava troppo veloce, per permettergli di raggiungerlo. Ma come poteva seguirla oltre quell'enorme parete? La colomba dall'altra parte del muro volteggiava piano come per indicargli la strada e fu così che Shadi trovò una breccia dove il muro non era ancora finito e si arrampicò sui calcinacci, scivolando, facendo franare mucchietti di brecciolini, e tremando di paura. Si ritrovò dall'altra parte atterrito all'idea di essere scoperto dai soldati. Ma il buio era fitto e nessuno lo vide. Ciò malgrado il bambino era più spaventato che se si fosse trovato in una foresta piena di belve feroci pronte a divorarlo. Dalla notte gli pareva spuntassero occhi rossi che lo osservavano e respiri di mostri. Poi vide la colomba appollaiata su una pianta. Mentre si dirigeva verso di lei sperando che non riprendesse il volo, accadde un fatto incredibile. Con gli occhi spalancati dallo stupore Shadi vide la sua colomba trasformarsi in una bella signora: alta, sottile, con un vestito ricamato e lunghi capelli neri sulle spalle appena coperti da un lungo velo azzurro. Aveva un volto soave e occhi belli e tristi.
-Chi sei bella signora?- domandò il nostro bambino con infinita meraviglia
-qual è il tuo nome?-
Con dolcezza la signora rispose:
-Il mio nome è Palestina-
-Sono venuta qui Shadi, piccolo mio, perché non potevo rivelarmi a te dentro una prigione. Vi hanno preso la casa e il campo, ma io non sono lì. Vivo nella vostra tristezza, vi seguo nel vostro esilio. -Quando Shadi ritornò a casa passando dalla breccia del muro, la signora scomparve e la sua colomba tornò indietro con lui volandogli accanto.
Shadi andò a dormire con il cuore colmo di meraviglia e di speranza, la sera dopo, quando il buio avvolse di nuovo il campo, la signora riapparve.
-Guarda Shadi che cosa ti ho portato, la notte scorsa ho intrecciato questo tappeto con i miei capelli. E' un tappeto volante, con questo puoi andare dove vuoi, librarti sopra il muro e andare a vedere il mondo. Vai nel mondo, Shadi, bambino mio, cerca orecchie disposte ad ascoltarti, racconta della Palestina, la bella signora prigioniera dietro il muro-
Con una grande eccitazione Shadi montò sul tappeto magico, non gli sembrava vero di poter volare dove voleva e non si ricordò neppure di avvertire la mamma. In breve si ritrovò così in alto che poteva toccare le nuvole e poi ancora più in alto vicino alle stelle. A quella distanza non c'era missile o razzo che lo potesse raggiungere. Il cielo era blu scuro ma non gli faceva paura, sentiva una pace e un'armonia che nessuno di certo laggiù da dove veniva aveva mai conosciuto. Non solo il suo popolo dietro il muro, ma anche i soldati stranieri che lo avevano imprigionato. Continuò a viaggiare tra le stelle e a sfiorare le nuvole sopra e sotto di lui tutta la notte e non era mai stato così felice, neppure nella sua casa sulla collina. Quando infine venne l'alba sfolgorante di luci e poi il sole del mattino Shadi stava volando sopra un grande parco. C'erano bambini che giocavano rincorrendo una palla. Facevano un gran vociare, ridevano e saltavano come cavallette. Shadi si ricordò con nostalgia di quando giocava così con i suoi fratelli, ma era stato tanto tempo fa. Pensò di scendere e di cominciare da lì per raccontare della Palestina. Quando però cominciò a raccontare ai bambini di come vivevano lui e i suoi fratelli dietro il muro, quelli non gli credettero:
-Cosa stai raccontando? Dove si è mai sentito che dei bambini non possano correre? Sei proprio un bugiardo!-
Shadi se ne andò molto triste, dove poteva andare a raccontare per essere creduto? Pensò che i bambini erano troppo ignoranti e che si doveva rivolgere a degli adulti, così quando vide delle persone sedute ai tavolini di un bar che bevevano e mangiavano gelati si avvicinò e cominciò a parlare con loro.
-Ho capito di chi stai parlando- disse una signora bionda con un profumo che faceva arricciare il naso del nostro bambino.
-Stai parlando di quei bambini che tirano pietre!-
-E non tirano soltanto pietre!- aggiunse un signore ben vestito,
-vogliono anche diventare kamikaze, l'ho sentito in un servizio in televisione. Questi bambini crescono con quest'aspirazione in testa-
-Sono educati così dai loro maestri- aggiunse un terzo signore
-E' per questo che i soldati chiudono le scuole-.
Shadi diventò ancora più triste e se ne andò sempre più dubbioso che qualcuno potesse credergli. Rimontò sul suo tappeto magico e volò fino ad un'altra città. Forse qui lo avrebbero ascoltato. Vide delle persone che facevano la fila per entrare al cinema e si avvicinò.
-Ma di cosa stai parlando?- Domandò un giovane
-Non ho mai sentito parlare di queste cose, e che cos'è questo muro? Mi ricordo che il muro di Berlino è stato già abbattuto, non mi risulta che ci siano altri muri!-
E' un muro costruito per la sicurezza- spiegò un signore più anziano
Siccome gli amici di questo bambino fanno gli attentati, le persone per bene si devono difendere-
Voi avete fatto degli errori!- disse un signore con la barba puntando il dito verso Shadi
E questa è la conseguenza dei vostri errori. I vostri capi sono cattivi e per questo siete ormai una causa persa, cosa volete da noi?-
Ancora questi straccioni!- Disse seccata una anziana signora
Non sono capaci di far crescere la loro economia, non sono capaci di lavorare e se la prendono con chi è più in gamba di loro, sanno solo lamentarsi-.
Ormai completamente deluso e sfiduciato Shadi non se la sentì di parlare ancora con qualcuno, montò sul suo tappeto magico e se ne andò.
Per fortuna, quando tornò a casa la mamma non si era accorta di nulla, perché mentre a lui era parso di essere stato via tanto tempo, per lei era passato solo un attimo. Andò a nascondere il tappeto e aspettò la bella signora.
Non mi hanno creduto!- Disse sconfortato quando lei riapparve.
Non te la prendere, piccolo mio, un po’ me lo aspettavo, però ho avuto un'altra idea. Se vogliamo uscire da questo muro bisogna cantare-
Cantare!?…-
Si, prendi tutti i bambini e cantate con quanto fiato avete in gola. Comincia tu, Shadi, canta-
Shadi era perplesso e aveva anche un po’ paura, ma cominciò a intonare un canto con la voce incerta e ancora tremolante:
"Il mio cuore è triste per te, Palestina…"-
Sentendo il suo canto gli altri bambini del campo si avvicinarono e cantarono con lui. Le loro voci si levarono alte e limpide contro il cielo, uscendo dal muro.
Nel sentire i canti, subito i soldati cominciarono a bombardare, ma i bambini non si spaventarono e cantarono più forte. Usciti dalle case, atterriti e disperati i loro genitori li vedevano cantare tutti insieme compatti e coraggiosi. I grandi allora dissero:
I nostri bambini non hanno paura, i nostri bambini cantano contro le bombe!-
E anche loro si unirono al canto. Dalla città sentirono il canto del campo profughi e la gente rimase in ascolto. Il canto si levava così alto che copriva il rumore delle bombe. Allora cominciarono a camminare per riunirsi ai loro fratelli del campo e cantare con loro. Stavano lì sotto le bombe tutto il campo profughi e tutta la città a cantare dal primo all'ultimo. Allora si cominciò a sentire qualche scricchiolio, il muro era già pieno di crepe, nel vedere questo tutti i palestinesi si misero a camminare verso il muro senza smettere di cantare ed ecco che un pezzo di muro crollò e qua e là i calcinacci franavano e le pietre si sbriciolavano. Quando tutta la gente arrivò sotto il muro, il muro non c'era più, era completamente crollato sotto il peso del loro canto. Così tutto il popolo attraversò le rovine del muro e cominciò a camminare verso le colline dove c'erano le fortezze dei soldati e dei loro amici.
Che cos'è questo canto che si avvicina?-
Domandò un generale.
-Sono solo i soliti bambini-
rispose sprezzante un altro generale.
Ma un terzo che era uscito a vedere tornò dentro gridando:
No! E' la Palestina che canta! Fuggiamo presto, prima che crollino le nostre fortezze!-
Davanti al popolo alta e fiera c'era infatti la bella signora, i suoi occhi non erano più tanto tristi e la sua voce si levava limpida, alta e commovente come mai.
La storia finisce qui, ma lascia immaginare che un canto può volare anche più di un tappeto magico e come in altre storie già raccontate, far crollare i muri, così Shadi, bambino mio, ogni volta che ti senti triste, canta, e io da lontano, canterò con te e insieme ci faremo coraggio e forse faremo crollare i muri alzati dentro i cuori di pietra.





IL GATTO DI BALATA


Il piccolo Andrea lo aveva incontrato sulla battigia, camminava a fatica e il pelo bagnato gli conferiva un'aria davvero abbacchiata.
-Dov'è il tuo padrone?- aveva esclamato Andrea
-Hai bisogno proprio di una bella asciugata-
-Lascia perdere- aveva risposto ingrugnito il gatto
-E' laggiù dietro quei cancelli, ma non importa, mi carezzava sempre contropelo-
-Come ti chiami?-
_Mi chiamo Mustafà e sono un gatto importante, sono parente di un martire!-
-Un martire!? - esclamò incredulo Andrea
-Come fa un gatto a diventare un martire?-
-Ora te lo racconto: un giorno i bambini hanno legato al collo di mio fratello Nureddin, il martire, un paio di barattoli di latta e poi lo hanno mandato nel campo dei soldati, i soldati hanno creduto che si trattava di una bomba ed hanno cominciato a dare la caccia a Nureddin che correva dappertutto facendo un gran rumore. c'è stato un parapiglia e i soldati se la sono fatta addosso per la paura, poi però sono riusciti a prendere mio fratello e lo hanno ucciso. La notte i bambini sono andati a recuperare il corpo ed hanno costruito una barella, lo hanno adagiato sulla barella e lo hanno coperto con la bandiera palestinese poi gli hanno fatto un gran funerale e lo hanno seppellito con la bandiera. Ora io sono diventato il parente di un martire e sono un gatto importante, tutti mi portano rispetto e nessuno mi tira pietre o mi molesta in nessun modo, tranne Bashir che continua a carezzarmi contropelo-.
Sei un gatto molto strano, comunque se vuoi venire a casa mia, ti darò un'asciugata e qualcosa da mangiare-
Vengo, ma patti chiari, mi puoi dare un cuscino per dormire e una buona pappa, ma io resto un gatto libero-
Andrea s'incamminò e il gatto di Balata gli teneva dietro sempre fradicio da far pietà, ma con la coda ritta, tutto compreso nel suo ruolo di gatto di rispetto. Appena furono entrati in casa, Marco, il fratello più grande di Andrea esclamò:
-Dove hai trovato questo sfacelo di gatto? E' tutto sporco, sarà anche malato, vedrai che la mamma non te lo lascerà tenere-
-E' un gatto di Balata- rispose Andrea che già sapeva tutto di Mustafà con cui aveva chiacchierato durante il percorso.
-Di Balata? E chi è questo Balata? E se ha già un padrone perché lo hai portato a casa?-
-Siete tutti così ignoranti da queste parti?-
Intervenne Mustafà quasi disgustato
-Prima di tutto io come gatto, non conosco padroni, e poi Balata è il posto da dove vengo-
-Che posto è? Non l'ho mai sentito-
Guardiamo sulla carte geografica- suggerì Andrea. Presero la carta geografica ma non trovarono nulla.
Ma questo posto non esiste, non sai se c'è una grande città lì vicino?- Domandò Andrea. Mustafà si mise a riflettere per qualche secondo poi disse
Ci sono! Una grande città vicina a Balata è Nablus-
Meno male - disse Marco e tutti e due ricominciarono a cercare, ma anche questa volta non trovarono nulla. Marco si arrabbiò un poco:
Mica ci starai prendendo in giro gatto balordo?-
Dicci in che nazione si trovano Balata e Nablus, forse così le troviamo- aggiunse Andrea.
Dì a tuo fratello di portarmi rispetto! - Disse Mustafà offeso,
comunque si trovano tutte e due in Palestina-
Alla buon'ora! - esclamò Marco e rivolto a suo fratello
Che gatto strampalato è questo!-
Palestina, Palestina, macchè nemmeno la Palestina c'è-
No, no, osservò Andrea, la Palestina ci dev'essere, l'ho studiato a scuola-
Allora l'hai studiato nella storia antica o forse era una leggenda, perché non esiste proprio su questa carta geografica che è anche nuova-
Mustafà ascoltava questi strani discorsi con le orecchie tirate indietro pronto a graffiare se avessero aggiunto una sola parola. Intanto Andrea si ricordò delle sue promesse e andò a prendere qualcosa dal frigorifero.
Mangia Mustafà, questo spezzatino dovrebbe essere adatto a un gatto del tuo rango, non badare a Marco, sicuramente la sua carta geografica non è buona- e provò a fargli una carezza stando attento a non farlo contropelo, ma Mustafà era così inzaccherato che ritirò subito la mano.
Marco che era uscito dalla cucina stava rientrando in quel momento e vide Mustafà col muso sprofondato nel piatto.
Ehi, hai dato tutto lo spezzatino a questo gatto squinternato?- domandò. Il gatto di Balata ne aveva abbastanza e inarcò la schiena drizzando tutti i peli e cominciando a soffiare verso Marco.
Non devi trattarlo così- ammonì Andrea -Non lo sopporta perché è un gatto importante, è il parente di un martire-
Vuoi dire quelli che si fanno saltare in aria?- Domandò Marco incredulo. Intanto Mustafà aveva rinunciato a minacciarlo e vedendolo così sprovveduto pensò che era meglio spiegargli qualcosa.
Certo che siete davvero ignoranti da queste parti!- esclamò -I martiri sono tutti quelli che muoiono per la patria. Uno può essere martire a pochi mesi oppure a 90 anni, ci sono martiri invalidi e martiri sani, uomini e donne, chiunque può essere un martire! Non devi per forza fare qualcosa di speciale per essere un martire -
Allora è facile diventare un martire!-
Ah si, facilissimo. Dalle mie parti, in Palestina, che tu non hai trovato sulla carta geografica, è facilissimo. Pensa che solo negli ultimi anni abbiamo avuto più di 4000 martiri.-
Che strano paese però!- esclamò Andrea -ma la gente non ha niente di meglio da fare che il martire? Non ci sono altri lavori?-
Bashir e la sua famiglia non avevano voglia di fare i martiri-
Stai parlando del tuo amico che ti carezzava contropelo?-
Proprio lui. Quando hanno deciso di partire per non diventare martiri, sono andato con loro per fare compagnia a Bashir che è un fifone, ma quando ci siamo trovati in mare mi sono preso un bello spavento-
E dov'è adesso Bashir?-
Te l'ho detto, dietro quei cancelli, dove hanno portato tutti quelli che sono sbarcati-
Mustafà fu scosso da un brivido e non riuscì più a nascondere la sua tristezza, non poteva fare a meno di guardare nella direzione del CPT dove era prigioniero Bashir.
Andrea gli fece una carezza senza badare al fango questa volta. Capiva il suo abbattimento, pensò che l'indomani, quando Mustafà si sarebbe riposato, gli avrebbe dato una bella spazzolata, con tutto il rispetto però.

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