mercoledì 25 luglio 2007

Una giusta informazione rende un grande servizio alla pace, crea una sensibilità e una coscienza tra le persone, ma questa responsabilità non è avvertita dai media che divulgano notizie confuse e tronche, si interessano solo ai fatti eclatanti come gli attentati, mentre non dedicano spazio alle lotte non violente come quella che si sta svolgendo da più di un anno a Bilin.
I giornali e i telegiornali che ci informano delle quotidiane uccisioni di palestinesi, si limitano a darci il numero delle vittime e passano ad altre notizie, non così se un rudimentale razzo kassam investe, spaventandoli, i cittadini di Sderot, se poi uno di questi ordigni, poco più che giocattoli fatti in casa, che hanno ucciso 6 persone in alcuni anni, uccidono qualcuno, allora piovono servizi approfonditi che ci raccontano passato e presente della persona colpita con tutti i particolari, così che possiamo commuoverci sulla sorte della vittima e verificare quanto sono barbari questi palestinesi, che non sono una popolazione civile con persone che vedono spezzate le loro vite e il loro futuro tutti i giorni, ma un manipolo di miliziani vestiti di nero e verde o con il volto coperto dalla kefia che attentano barbaramente alla sicurezza degli israeliani. Sicurezza: con questa vuota parola vengono giustificati quotidiani massacri, demolizioni di case, furto di terre, soprusi e crudeltà gratuite di ogni genere. L'ipocrisia dei giornalisti non si dilunga a raccontare come mai l'unica democrazia del Medio Oriente spari sui pulmini pieni di bimbi uccidendo una maestra, come leggi razziste dividano le famiglie, non ci raccontano della procedura dell'asino, né delle torture e dei carceri segreti nel cuore del Neghev, non ci raccontano di quel contadino che ha protestato perché i coloni stavano coltivando il suo campo e quando sono venuti i soldati lo hanno arrestato perché non disturbasse i ladri, non ci raccontano che i palestinesi non possono viaggiare sulle loro strade riservate ai soli coloni, né che non possono possedere una macchina con targa israeliana, ultima trovata dell'apartheid. Una nuova legge recita che i cittadini israeliani non possono dare un passaggio ad un palestinese: non ci devono essere rapporti se non di guerra. Si dice che entrambi i popoli abbiano ragione e che Israele ha diritto alla sicurezza e i palestinesi a uno stato. Questo porta ad una situazione di stallo. Come si può intervenire se entrambi hanno ragione? Da qui l'equidistanza, o equivicinanza secondo l'ultimo neologismo per coprire la verità. Gli israeliani hanno diritto alla sicurezza: e allora perché il governo e l'esercito fanno di tutto per provocare attentati? Perché deridono tutti i tentativi di tregua da parte del tanto criticato Hamas o quelli di intervento internazionale come l'ultimo proposto dall'Italia, Spagna e Francia definito nientedimeno che "impedimento al progresso"? Perché si guardano bene dal prendere in considerazione la proposta dei paesi arabi, che offre pace completa in cambio della restituzione dei territori occupati del Golan siriano e di Gaza e Cisgiordania? Anche i palestinesi hanno diritto alla sicurezza prima ancora che a uno stato. In realtà questa formula: gli israeliani hanno diritto alla sicurezza e i palestinesi a uno stato significa che gli israeliani possono fare quello che vogliono senza essere soggetti a critiche giacchè lo fanno per la sicurezza, mentre i palestinesi se ne devono stare buoni nei loro bantustan, nelle loro città e villaggi circondati e divisi dal muro, enclaves che possono anche chiamare stato. Se si osservano le cartine si vede bene lo spazio che è rimasto ai palestinesi dal 48 ad oggi, praticamente niente. Qualcuno dovrebbe spiegarci dove dovrebbe essere fondato lo stato palestinese, sulla luna? Quando l'ONU divise in due la Palestina e i palestinesi rifiutarono questa soluzione, furono criticati e da allora Israele accusa "Non hanno voluto accettare la spartizione! Per quale ragione avrebbero dovuto accettare? Era la loro terra. Dallo studio di Eli Aminov apprendiamo che "Nel periodo in cui iniziò l'insediamento sionista il popolo palestinese venne interrotto nel bel mezzo di un intenso processo di attuazione delle caratteristiche che conformano una moderna nazione all'interno della loro patria. Il grado di urbanizzazione dei palestinesi era particolarmente elevato per un paese del Medio Oriente, La Palestina era uno dei paesi più sviluppato nel campo tecnologico dell'intero Medio Oriente. Le città servivano da connessione, collegando la società locale alle trasformazioni, alle innovazioni, alle invenzioni e alle nuove idee del mondo intero divenendo al tempo stesso laboratorio per lo sviluppo delle idee nazionalistiche. Nel 46 in Palestina c'erano 11 città con più di diecimila abitanti, di esse tre avevano una popolazione araba di circa 70mila ciascuna: Jaffa, Haifa e Gerusalemme. Nelle grandi città non erano sviluppati solo il commercio, le banche, l'industria leggera e i trasporti, ma anche la vita culturale. La distruzione delle città palestinesi ed il blocco della loro crescita, per il loro ruolo di punti focali al concretarsi della coscienza nazionale palestinese, fu uno degli obiettivi principali di coloro che ebbero la responsabilità degli "Affari arabi" nei successivi governi israeliani. La città palestinese, che in contrapposizione al villaggio fatto di tribu e clan si sviluppa popolata da individui che formano nuove connessioni sociali, personali e culturali è stata sempre una minaccia per l'identità israeliana che si è costruita sui miti del sionismo che ha stampato nella coscienza collettiva israeliana l'immagine dei palestinesi come contadini o beduini, banditi e pastori. Ad Hebron la distruzione urbana è stata portata a termine tramite lo sviluppo degli insediamenti, che cominciò in una zona e dilagò trasformando il centro di Hebron in un altro pianeta per la popolazione locale. Ad Hebron sono state messe in pratica tutte le forme di penetrazione sionista, così come controllare la popolazione palestinese che Israele vi ha raccolto fin dal 48 limitando in particolar modo la moderna mobilità ed impedendo il processo di urbanizzazione e di industrializzazione. Gli insediamenti, il furto della terra, le strade di attraversamento riservate, la divisione della città, il blocco allo sviluppo e la mancanza di connessione tra la città e la sua periferia rurale, per la quale essa funge da capoluogo regionale, hanno trasformato Hebron in un insieme di quartieri separati senza alcuna integrazione. Nell'analisi finale, la politica di Israele di de-urbanizzazione è parte di un processo di genocidio il cui scopo è l'estirpazione del popolo palestinese come entità nazionale."
L'occupazione ha fatto in modo che l'intera società palestinese diventasse sempre più agricola e infine ha strappato ai contadini i loro mezzi di sussistenza con il furto della terra, che con il muro ha raggiunto livelli vertiginosi aumentando l'impoverimento fino all'inverosimile e riducendo un popolo intelligente e sviluppato ad una nazione di mendicanti che ha bisogno degli aiuti internazionali per sopravvivere, e per ultimo anche quegli aiuti sono stati sottratti, in accordo e complicità con Israele, in un embargo che ha del surreale. Dove mai si è visto un embargo a un popolo sotto occupazione? L'impoverimento enorme dovuto all'occupazione ha fatto si che molti interventi, pure giusti, di sostegno alla società civile palestinese si configurassero sempre più come un intervento umanitario. Secondo un rapporto dell'UNICEF a Gaza muore un neonato malato su tre semplicemente perché non ci sono più medicine e farmaci essenziali, muoiono di malattie molto comuni perché non hanno accesso a centri sanitari, trattamenti medici o farmaci adeguati e Israele impedisce loro di essere curati altrove. In Cisgiordania a causa della malnutrizione un bambino su 10 ha un ritardo di crescita, a Gaza uno ogni nove, ma il problema della Palestina non è umanitario, è politico. Senza l'occupazione i palestinesi se la vedrebbero benissimo da soli. Così le toppe che la UE in passato ha messo alla situazione, con gli aiuti sono state sempre vanificate da un successivo intervento di Israele, e una scuola, un porto una qualunque infrastruttura pagata dalla UE se ne andava in pezzi in un attimo dopo un incursione, un bombardamento. E' ora che la società internazionale prenda posizione politicamente a favore delle vittime e che smetta di fare ricatti odiosi.
Attualmente il governo israeliano si è dotato di un nuovo democratico, il fascista Liberman, l'unica democrazia del Medio Oriente non si è sconvolta affatto per questo nuovo acquisto e la ragione è che sebbene Liberman sia il peggio che si possa immaginare, non è fuori dai progetti sionisti, la differenza tra lui e gli altri è che lui dice ciò che gli altri pensano senza dirlo. Il problema di Israele è il sionismo e la fissazione dello stato teocratico per soli ebrei, questo semplice fatto impedisce una vera democrazia. "L'uccisione di bambini palestinesi non è un crimine nello stato di Israele ebraico e democratico" scrive Nurid Peled, scrittrice israeliana pacifista, "Questa crudeltà che non si esprime a parole, questo modo organizzato, meditato, di maltrattare le persone , che i migliori cervelli israeliani oggi sono impegnati a PIANIFICARE E PERFEZIONARE, tutto ciò non è nato dal nulla. E' il frutto di un'educazione fondamentale, intensiva, generale. I figli di Israele sono educati in un discorso razzista senza mezze misure. Un discorso razzista che non si ferma ai ceck-point, ma regola tutti i rapporti umani in questo paese. I figli di Israele sono educati in modo che considerino il male che, dalla fine dei loro studi, dovranno far passare da virtuale a concreto, come qualcosa di imposto dalla realtà nella quale sono chiamati a lavorare. I figli di Israele sono educati in modo che considerino le risoluzioni internazionali, le leggi e i comandamenti umani e divini, come parole vuote che non si applicano a noi. I figli di Israele non sanno che c'è un'occupazione, si parla loro di "popolamento". Sulle carte dei manuali di geografia i territori occupati sono rappresentati come zone facente parte di Israele o sono lasciate bianche e indicate come "zone sprovviste di dati", detto in altri termini "zone disabitate". I figli di Israele ne sanno di più sull'Europa -patria della fantasia e ideale dei dirigenti del paese- che sul Medio Oriente dove vivono e che è il focolare originario di più della metà della popolazione israeliana. I bambini ebrei nello stato d'Israele sono educati a dei valori umani di cui non vedono nessuna concretizzazione attorno a loro.
Israele ha complici, ma non ha amici. Coloro che sostengono il suo diritto di difendersi, non sono veri amici. Veri amici sono i pacifisti e i dissidenti israeliani e chi li appoggia. Sono loro la vera coscienza di Israele e quando la popolazione israeliana si sveglierà sarà loro che dovrà ringraziare. Israele si fa scudo dei deportati e della Shoah, pretende crediti che non sono stati mai concessi a nessuno stato e lamenta di essere in pericolo. Quegli stessi reduci dei campi di sterminio, apprendiamo da un editoriale di Haaretz, sono lasciati nell'indigenza, dallo stato che preferisce spendere i soldi in nuove armi da testare sulla popolazione martire di Gaza e che ha usato ai danni di quella del Libano. Noi, ebrei dissidenti della rete Eco e di Ejjp pensiamo che bisogna smetterla di trattare Israele come uno stato a parte che bisogna criticarlo e quando non ci sente, sanzionarlo come si farebbe con qualsiasi altro stato. Come cittadini europei non vogliamo restare in silenzio di fronte a crimini commessi contro una popolazione prigioniera e sotto occupazione, vittima di eventi della storia europea.
Come ebrei, non commetteremo lo stesso errore che abbiamo spesso rimproverato ad altri: restare in silenzio di fronte a crimini contro l'umanità.

Nessun commento: