sabato 7 luglio 2007

LIBRERIA ODRADEK, Via dei banchi Vecchi 57

Presentazione del libro di Miriam Marino: Ingiustizia Infinita
A cura di Gabriella Gianfelici
Ed. Stelle Cadenti 2002

La conoscenza e il dialogo sono un dovere nella nostra odierna realtà, il portare pensieri alti, come in questi racconti di Miriam, deve oltrepassare anche le più spinte utopie per ricompattarsi e vivere insieme, altrimenti dove ci porterà questo sistema intriso di guerre, di rancori e di armi alla portata di tutti?

Questa mia presentazione sarà intervallata da alcune poesie di Miriam, da brani tratti dal suo libro e da due poesie: una del poeta ebreo Shlonski e l'altra dalla poeta palestinese Fadwa Toqan.

E introdurrò leggendo alcune frasi dal libro:
"la libertà è un dono amaro" (Con gli occhi di Gadi). "Fuori scoppiava il sole come un incendio, ma i parenti impegnati nella discussione non ci badavano. Pensavano ad altri scoppi. Gadi capì che viene un momento in cui si può parlare solo con le lacrime e sentì che tutto era fragile e provvisorio e pieno di dolore. Il nonno aveva detto a Gadi "Non perdere mai la tua anima" "E non perdere mai la speranza"…si rimane imprigionati nella propria durezza come in una tomba. Ma quando i soldati avevano cominciato a sradicare gli ulivi dei palestinesi, Yossi e i suoi amici si erano incatenati agli alberi per impedirne l'abbattimento e quando erano arrivati nei villaggi con le ruspe e i tanks per buttare giù le case, i pacifisti si erano gettati davanti alle ruspe…"

In tutti questi racconti gli avvenimenti sono narrati : non c'è giudizio, nulla rimane sospeso: il vero sentimento che sovrasta tutto è un vero sentimento per la pace. Troviamo l'esperienza limite del morire e l'esperienza di chi non vuole morire, ma vivere, e s'innamora, piange e lotta per non nuocere a nessuno e per non far più piangere nessuno.
Come Iris, soldatessa israeliana disertrice. Per sua scelta non vuole uccidere, né combattere: così marcirà in prigione.
I racconti si ispirano a fatti realmente accaduti e Miriam, con le sue intuizione dolorose mostra il problema, e lo mostra in tutta la sua efferatezza.

Siamo voci precarie ma abbiamo e riflettiamo pensieri non scansati, e vogliamo stanare il silenzio: il poeta ebreo Shlonski scrive:


Nell'azzurro del cielo
In alto lassù nuotano già
Pesci d'oro a migliaia.
E la notte distende
La rete per prenderli
E pesca la luna
Che viene dal mare.

E Fadwa Toqan, considerata la voce più alta della poesia femminile palestinese, che non ha mai voluto abbandonare Nablus, così scrive:

il giorno nero del diluvio
rifiutato da spiagge selvagge
e buttato nella verde buona terra,
quel diluvio nemico esclamò:
è già caduto l'albero?
Ci perdonino i rossi ruscelli,
ci perdonino le radici che abbiamo bagnato
col vino di sangue dei cadaveri
Ci perdonino le radici arabe
Che vanno profonde come rocce
Nella profondità
E che si stendono lontane.
Un giorno l'albero risorgerà
E le fronde cresceranno contro il sole,
saranno verdi ancora una volta
e sorrideranno le foglie.

La vera proposta di queste pagine è il sogno: il sogno di una riconciliazione raggiunta, immagini di reciproca convivenza dei due popoli fratelli: gli arabi e gli ebrei
Questo e soltanto questo le pagine di Miriam ci invitano a desiderare: ascolto reciproco e un percorso insieme.

E ancora dal libro:
"Ci vuole sicurezza, ci vogliono muri, ci vuole decisione. (Anat, madre israeliana pag. 44)
"No, vi sbagliate ci vuole soltanto amore: Ci vuole amore per la vita, per se stessi per i propri figli e il proprio prossimo…Non riesco ad essere solidale con i coloni, per me è più facile e diretto essere solidale con le altre madri che hanno sofferto e soffrono come me, siano esse israeliane o palestinesi…nessuna guerra è giusta…"

Questi racconti sono come un agire sociale per rendere la nostra realtà più attenta, più sensibile e più adeguata agli altri, oltre gli egoismi e il ghiaccio che stringono l'anima; Miriam ci riporta alla Storia con le sue storie, ci fa rivivere situazioni esistenziali, senza maschere molteplici e spendibili nell'ipocrisia sociale.
Così si evidenzia che il rapporto tra il Soggetto e la Parola è chiaramente la responsabilità etica di fronte alla vertigine dura dell'accadimento, di fronte all'impossibile arrestarsi delle violenze.

Una poesia di Miriam dal libro "Kaddish"

Io non so strapparmi i capelli
E le vesti
Non so gridare
Né piangere.
Ma una piccola crepa
Appena avvertibile
Sul pavimento dell'anima
S'è aperta e tutta lacerata
Mentre lavoro in silenzio
A causa dei8 tuoi graffi
Rapace in veste di colomba
Che avvolgi con te
Nel tuo sudario
La mia anima muta.

E un piccolo tratto dal suo libro: Ricordati di Amalek

Una lacrima scivolò dalla guancia e finì sull'erba, vi si assestò come una goccia di brina. Lei la guardò stupita, ma ciò che le sembrava veramente incredibile era che l'erba avesse preso colore, che fosse verde…

Troviamo in queste righe molti significativi aggettivi a sottolineare il "voler dare", il voler donare.
Il linguaggio che un narratore crea modella la storia che si vuole costruire e le parole di Miriam, efficaci e concatenate, riescono a evocare una nuova situazione con agganci per le successive. Così, come in tutti i libri di racconti di Miriam, l'opera definitiva appare come creazione unica, consistente in se.
E questo insieme di libri, sia racconti come poesie, formano l'opera susseguente e tematica di questa autrice.
Tutto è permeato da una grande dolcezza, Miriam vive queste figure e queste dolorose vicende con amore e partecipazione.
Movimento che genera movimento, un riemergere della coscienza che può risvegliare altre coscienze.

E ancora dal libro: (Jamila pag. 31)

"Quell'uomo continuava a colpirlo con la pietra, dal mio nascondiglio sentivo le urla di Hamed, ma ho avuto troppa paura per fare qualcosa, lo ha colpito finché non si è più mosso e io non ho fatto niente, mamma…"

Ancora uno spaccato di un mondo che si dilania e si dilata ancora oltremisura. La tristezza apre e chiude ogni pagina del volume.

Il critico, scriveva Marina Cvetaeva, dovrebbe essere un investigatore e un amante insieme, avere il dono del veggente e leggere dentro il testo e oltre ancora.
Inoltre per le donne che scrivono si mettono in gioco anche empatie, affinità, comunicazione.
E soltanto così si può sviscerare un testo e renderlo materiale vissuto e anche affettivo.
E ancora vorrei ricordare l'affermazione di Virginia Woolf "Le parole non sono inutili", dove ella sottolinea l'estrema importanza che le parole assumono in relazione non soltanto agli eventi, ma anche ai legami personali, alle emozioni, ai ricordi, alla memoria.
L'io scrivente qui diventa l'io testimone: osserva, scruta, soppesa: così immagini scaturiscono e ogni frase concentra un frammento di ricordo e di elaborazione.

Gabriella Gianfelici

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